Palazzo Ricci – a cavallo tra Via Giulia e Via del Governo Vecchio – si apre con la sua facciata ornata ad affresco su un punto particolarmente pittoresco di Roma. Opera di Polidoro da Caravaggio e Maturino Fiorentino, sono un bell’esempio di come si presentasse Roma all’inizio del XVI secolo.
Palazzo Ricci: storia minima
L’edificio noto oggi come Palazzo Ricci venne in realtà edificato per la famiglia toscana dei Calcagni probabilmente nei primi anni del ‘500. Da loro passò ai Del Bene i quali nel 1533 lo cedettero a Monsignor Fabio Arcella vescovo di Bisignano e stretto collaboratore di Clemente VII. Da lui l’immobile passò poi all’antica famiglia fiorentina dei Gaddi a cui apparteneva il famoso Taddeo allievo di Giotto. Nei decenni che ci interessano, la famiglia Gaddi ebbe due cardinali – Niccolò e Taddeo – e, dunque, evidenti interessi a Roma.
Nel 1542 passò a Costanza Farnese (1500-1545), figlia naturale di Paolo III. Nel 1577 venne infine acquistato dal cardinale Giulio Ricci che oltre all’edificio principale acquistò anche altre pertinenze per arrivare alle dimensioni che vediamo.
Palazzo Ricci: gli affreschi di Polidoro da Caravaggio e Maturino Fiorentino
Chi siano gli autori degli affreschi della facciata di Palazzo Ricci lo certifica Giorgio Vasari nelle Vite. Infatti, in quella dedicata a Polidoro da Caravaggio afferma: “Fecero ancora, sotto Corte Savella, la casa che comperò la Signora Gostanza, quando le Sabine son rapite; la quale istoria fa conoscere non meno la sete et il bisogno del rapirle, che la fuga e la miseria delle meschine portate via da diversi soldati, et a cavallo et in diversi modi. E non sono in questa sola simili advertimenti, ma molto piú nelle istorie di Muzio e d’Orazio, e la fuga di Porsena Re di Toscana”.
Del resto Polidoro e Maturino – stando al Vasari – erano leader indiscussi nel realizzare palazzi dipinti per l’aristocrazia romana. A questo proposito leggi anche: Palazzo Milesi: gli affreschi in Via della Maschera d’Oro
Siamo in un momento antecedente al Sacco di Roma (1527) perché in quel frangente Polidoro abbandonò per sempre Roma. Dunque, committenti dell’opera furono probabilmente i Del Bene.
Gli affreschi, dedicati all’antica Roma, si sviluppano su due registri:
- nel primo (quello inferiore) è riportato nell’ala sinistra del palazzo la storia di Scipione e la presa di Cartagine. Nell’ala di destra, la vicenda di Muzio Scevola e Porsenna. Se guardate l’ultima scena verso destra si vede chiaramente Muzio Scevola porre la mano destra sul braciere;
- nel secondo registro è invece narrata la leggenda di Romolo e Remo e la fondazione di Roma;
- qui era posta anche la vicenda del Ratto delle Sabine andata però perduta;
Le rappresentazioni di armi e trofei che corrono lungo l’ultimo piano sono invece di Luigi Fontana il quale restaurò gli affreschi alla fine del XIX secolo.

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