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Artena: visita e storia

La visita di Artena – l’antica Montefortino – va per forza fatta a piedi. Infatti questo è per antonomasia uno dei borghi più inaccessibili alle auto dato che si arrampica lungo un costone scosceso guadagnando circa 180 metri di quota tra la base e la cima.

Alle spalle una profonda dolina si erge a difesa naturale. Dunque, l’accesso all’abitato si presenta complicato per chi arrivi in auto oggi e per coloro che si fossero presentati con cattive intenzioni ieri. Forse di qui il suo primo nome di Montefortino.

Piano della Civita e le mura ciclopiche

Evidentemente l’area era abitata fin dall’antichità. Ne restano come testimonianza gli scavi del Piano della Civita alle spalle del paese con le sua mura ciclopiche ed i reperti conservati nel locale museo archeologico. montefortino artena mura ciclopiche piano della civita Mentre non si hanno notizie precise circa i primi abitanti dell’area (comunque popolazioni pre-romane), nel XIX secolo maturò l’idea che potesse trattarsi dell’antica città di Artena.

Così nel 1873 si arrivò al cambio di nome sulla scia dell’entusiasmo erudito ottocentesco per le presunte radici antiche che coinvolse molti borghi storici italiani.

Artena: la visita

Quello che invece ci è dato sapere sono le vicende medievali e rinascimentali di Montefortino che vide l’alternarsi di alcune casate tra le più nobili del Lazio.

Fu prima feudo dei conti di Tuscolo e poi di quelli di Segni. Poi nel 1475 passò ai Colonna in una fase particolarmente felice nella storia di quella casata. Nel 1614 i Colonna però vendettero il feudo per problemi economici al Cardinale Scipione Borghese. I Borghese ne rimasero poi proprietari fino al termine naturale del sistema feudale.

Montefortino: la storia

Per visitare il borgo dovete armarvi di buone scarpe ed energie. Sia che scegliate di partire dall’alto che dal basso, sarà un giornata di esercizio fisico.artena visita palazzo barberini montefortinoCome detto, infatti, Artena non è accessibile alle auto per via della strettezza e della pendenza dei suoi vicoli tant’è che il mulo è forse ancora oggi il miglior mezzo di trasporto! Quindi, qualsiasi direzione abbiate scelto per iniziare, mettetevi in cammino…

Comunque, alla base del borgo troverete il museo archeologico e poi, salendo, l’Arco Borghese che vi immette nel centro abitato antico ed il palazzo (con giardino) dovuto alla medesima famiglia ed evidentemente frutto (sul lato esterno) di un riutilizzo a fini abitativi dell’antica cinta muraria.

A questo punto, non vi resta che inerpicarvi per il borgo e perdervi per i suoi vicoli. Ciò fino a raggiungerne la cima dove si trova la chiesa di Santa Croce. Indubbiamente scenografica, sorge su quella che in altri secoli si sarebbe detta l’acropoli. Restaurata nella sua semplice ed elegante facciata, è anch’essa dovuta (almeno nella forma nella quale la vediamo di metà ‘600) ai Borghese come si può constatare dall’iscrizione in facciata.

Chiesa di Santa Croce: l’Ultima Cena Torresani

Il pezzo forte, però, di questa chiesa è nell’attuale sacrestia. Evidentemente tali spazi dovevano avere una funzione diversa, probabilmente una cappella posta a lato dell’altare principale. Altrimenti, non si spiegherebbe cosa potesse farci un affresco dell’ultima cena posto sulla parete di fondo dell’ambiente. Per di più, ad un’altezza che rende evidente come il pavimento originario dovesse essere ad una quota di parecchio inferiore.artena chiesa santa croce affresco ultima cena torresaniIn ogni caso, si tratta con tutta evidenza di un’opera cinquecentesca e – oserei dire – di uno stile assolutamente avvicinabile a quello della bottega Torresani, famiglia di pittori veronesi che operarono però a lungo in Umbria, a Rieti ed in Sabina.

Per ulteriori informazioni sui Torresani, potete leggere l’articolo: Montorio, gli affreschi di San Leonardo.

Nel caso foste diretti a Sud, non siete lontani dalla bellissima Anagni e neanche dall’Abbazia di Casamari.

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.

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