La Chiesa della Santissima Trinità fuori le Mura ad Orte è un luogo che ha il fascino sereno e malinconico degli antichi romitori. Nel contempo la sua particolare posizione la rende una tappa obbligata per coloro i quali visitando la Orte medievale e rinascimentale -nonché la fantastica Orte Sotterranea – vogliano avere dell’antico borgo una visione panoramica e di insieme.
Infatti, la Chiesa della Santissima Trinità è un landmark inconfondibile di Orte. La città sorge infatti sopra un grande piedistallo tufaceo che si erge avendo da un lato il Tevere e dall’altro una valle dove oggi corre la ferrovia. Posta grossomodo alla medesima altezza del borgo ma nella collina tufacea che si erge esattamente dall’altra parte di questa vallata si trova la Chiesa della Santissima Trinità fuori le Mura. La sua facciata bianca la rende inconfondibile quando ci si affacci dai tanti “balconi naturali” di Orte per guardare il panorama.
Chiesa della Santissima Trinità: la storia
La Santissima Trinità non è “costruita”, ma “scavata” partendo da una grotta naturale. Direttamente nella parte di tufo contro la quale poggia la sua facciata. La posizione particolare del luogo fece si che esso venisse scelto, verso la fine del ‘300, da una piccola comunità di monaci eremiti proprio per la natura del luogo.
Nella seconda metà del ‘400 la grotta venne trasformata in chiesa e, nel 1460, su iniziativa dell’eremita Nicolò Cappa di Vigne vennero fatti dipingere gli affreschi che ornano l’abside. Al centro, Dio Padre che sorregge la Croce del Cristo; a sinistra la Vergine con il Bambino ed a destra San Giovanni. La volta della piccola abside accoglie invece l’immagine dello Spirito Santo, circondato da angeli, alcuni dei quali “musicanti”.
Delfo Gioacchini, nel suo scritto “Uno sguardo di benevolenza sulla città” riporta alcuni versi che dipingono perfettamente questo quadro e la sua atmosfera:
“Simon Feo, medico e poeta ortano che visse tra l’ultimo trentennio del ‘400 ed i primi anni del ‘500, chiuse con quesi versi la sua elegia ‘Ad Amicum’ su Orte:
Lucus in excelsi consurgit vertice colli:
hic virides ortos, hicque sacella vides;
ex topho fratrum manibus
discissa feruntur
hic lacrimis summi
flectitur ira Dei”
Sull’alta vetta del colle sorge un bosco; qui potrai vedere orti verdi, qui piccole celle; nel tufo con le mani dei frati; furono scavate; qui con le lacrime del sommo; dio l’ira si placa.
Proprio agli albori del XVII secolo la Chiesa della Santissima Trinità trova nuove risorse. Ci racconta infatti Gioacchini: “Nel 1604, frate Eliseo, capo eremita a quel tempo della piccola chiesa della Trinità, promosse nella chiesa di San Biagio in Orte la congregazione dell’Annunziata con l’incarico di provvedere alle necessità della piccola chiesa rupestre. A confermare il patrocinio, nel 1630, la congregazione fece dipingere, ai lati estremi dell’abside la Madonna che accoglie l’annuncio (a sinistra) e l’Arcangelo Gabriele che glielo porta (a destra)”.
Siamo però ormai già in un epoca travagliata per gli ordini monastici (si pensi agli abati commendatari) e per i movimenti eremitici. Così, probabilmente la Santissima Trinità viene abbandonata. Infatti, nel 1780, ormai in rovina, viene restaurata dalla Congregazione dell’Annunziata.
I problemi, però, non dovevano finire lì, ma ripresentarsi molto più vicino ai giorni nostri. Infatti, quando nel 1944, nel pieno degli eventi bellici, scoppiò un treno carico di munizioni, parte del costone di tufo posto sopra la chiesa si staccò, ricoprendola interamente. Si deve al lavoro ed all’impegno delle numerose Confraternite che Orte può vantare se la Chiesa della Santissima Trinità fuori le Mura sia stata completamente liberata dalle macerie, restaurata e l’area limitrofa sistemata così gradevolmente come la vediamo oggi. A distinguersi particolarmente in quest’opera, racconta Delfo Gioacchini, furono due confratelli della Congregazione dell’Annunziata: Pietro Martini e Giovanni Nasetti.
Ancor più vicino ai giorni nostri, a partire da metà degli anni ’80, con l’intervento della Soprintendenza ed il contributo della famiglie ortane si è proceduto al restauro degli affreschi ed alla stabilizzazione delle pitture le quali, sebbene appoggiate ad una parete di tufo per sua natura umida, resistono in sito da oltre cinque secoli.
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